Un mondo di plastica

Simbolo del progresso (o forse di una fiducia mal riposta nel buon senso umano), la plastica è entrata nella nostra vita a partire dall’era industriale.
Oggi la si trova ovunque, in ogni angolo del pianeta, perfino nei pesci che mangiamo

Una confezione di plastica da mettere nel forno
a microonde è programmata per una durata di forse sei mesi,
un tempo di cottura di due minuti e una permanenza
di secoli nella discarica. (David Wann)

Di plastica, questa prodigiosa invenzione della chimica, ne esistono di molti tipi, ad alta densità (come le bottiglie dei detersivi, ad esempio, che sono resistenti agli urti) e a bassa densità (quella di sacchetti, imballaggi, pellicole,…). C’è il polistirene (per i complementi d’arredo), il Pvs (per oggetti resistenti come le finestre), il Pp (per gli elettrodomestici), il Pet (per le bottiglie di plastica), il nylon (resistentissimo all’usura), e infine gli elastomeri, le gomme e i polimeri termoindurenti (per prese, spine, interruttori).
Alle plastiche che utilizziamo vengono poi addizionati dei composti chimici (aldeidi, coloranti chimici, Pcb, ftalati, …) che non sono esattamente un toccasana per la salute, soprattutto per il sistema endocrino. Solo per fare un esempio, prima che l’Unione Europea, nel 2010, bandisse il bisfenolo A (che fu dimostrato passare dal contenitore al contenuto) i nostri bambini lo hanno assunto attraverso i biberon. Nemmeno a dirlo, in molte parti del mondo è ancora generosamente utilizzato.
Di recente sono state introdotte le plastiche biodegradabili e quelle compostabili. Le prime si dovrebbero decomporre al 90% in sei mesi, le seconde al 100% nell’arco di un trimestre. In realtà il processo di compostaggio di quelle biodegradabili dovrebbe svolgersi in ambiente controllato e ciò non avviene quasi mai, sicché non vanno a soddisfare i criteri di tutela ambientale per le quali sono state create.
Per ciò che attiene alla produzione mondiale della plastica, l’Europa si colloca al secondo posto con il 19% dopo la Cina con il 29% (l’intera Asia raggiunge il 50% della produzione globale). Il nostro paese è il maggior produttore europeo, dopo la Germania.

› Mari e oceani

È negli oceani che la vita proliferava quando sulla terra non esisteva ancora nulla. Oggi sono popolati (oltre che dalla flora), dalla fauna marina e dalla plastica. La prima spesso si nutre della seconda, scambiandola per cibo, entrando così nella catena alimentare. Senza contare, poi, che il 90% degli uccelli marini presentano rifiuti di plastica nello stomaco.
Quando vengono ritrovate vecchie borse della spesa a profondità abissali o nella pancia di balene e tartarughe, i cavallucci marini nuotano aggrappati a cotton fioc, e granchi e uccelli costruiscono i loro nidi con pezzi di plastica, appare chiaro che abbiamo sbagliato qualcosa.

› Natura e plastica non vanno d’accordo

Ogni anno finiscono in mare dai 4 ai 13 milioni di tonnellate di rifiuti plastici (insieme ai composti chimici addizionati) che vanno a distruggere gli ecosistemi. E i loro detriti, le microplastiche – non visibili a occhio nudo -,insieme a quelle derivanti da prodotti per l’igiene personale, diventano parte della catena alimentare, ovvero vanno a costituire parte dei tessuti dei pesci che poi mangiamo.
La più grande zona di accumulo di rifiuti al mondo si trova nel Pacifico del Nord, dove le correnti creano un’area di convergenza. È denominata Great Pacific Garbage Patch, una sorta di isola fluttuante che si alimenta per ogni nostro stupido gesto quotidiano, rappresentazione della malattia del nostro modello di sviluppo nonché della pessima gestione dei rifiuti urbani.
La Great Pacific Garbage Patch è stato scoperta nel 1988, ma portata all’attenzione del pubblico solo nel 1997 grazie a navigatore statunitense Charles Moore.
Quanta plastica è intrappolata nel vortice dell’isola? Secondo i dati raccolti circa 79.000 tonnellate, distribuite su una superficie pari a 5 volte quella dell’Italia. Sarebbero molte di più, il fatto è che una buona parte di queste (circa la metà) affonda e va ad accumularsi nei canyon sottomarini.
A chi compete il problema della Great Pacific Garbage Patch? Poiché si trova in
mare libero, a nessun paese. Gli Stati costieri estendono i propri diritti fino a
200 miglia da terra.
Secondo il progetto governativo britannico Foresight Future of the Sea, l’inquinamento da plastica negli oceani potrebbe triplicare da qui al 2050. È palese che una risposta globale per arginare il fenomeno sia quantomeno urgente. Risposta che non si concretizza nel ripulire gli oceani dalla plastica, bensì in una sinergia di forze ripartite tra governi e cittadini, atte a invertire una rotta obsoleta e irresponsabile. Esistono dispositivi di “ripulitura”, ma hanno dei limiti: non si arriverebbe alle microplastiche, inoltre il sistema di filtraggio potrebbe danneggiare gli organismi planctonici e, per finire, i rifiuti in prossimità delle coste non potrebbero essere recuperati.
Fa ben sperare la scoperta recente di un batterio mangia plastica, ma la strada è
ancora tutta da esplorare. Nell’immediato si dovrebbe ridurre il consumo di prodotti usa e getta, promuovere il riciclo e iniziare un percorso responsabile evitando di abbandonare i rifiuti nell’ambiente. Quelli che inevitabilmente ci ritroviamo poi nel piatto.
Nel Mediterraneo non c’è alcuna “isola”, ma in compenso, essendo un mare
sostanzialmente chiuso, è soffocato dalla plastica. Nel nostro paese, nel solo bacino nord-ovest di Genova, ad esempio, sono stati ritrovati 200.000 microframmesti plastici per chilometro quadrato. Picchi elevati sono stati rilevati anche nelle acque di Portici (Napoli) e in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia). Situazione non dissimile nel canale di Sicilia, Sardegna, Mar Egeo, Corsica, Francia, Nord Africa, Turchia, Grecia. Alcuni biologi belgi hanno trovato microplastiche nelle cozze, e se consideriamo che nei Paesi Bassi costituiscono il piatto nazionale, la cosa è piuttosto preoccupante.

› Laghi e fiumi

La situazione non è migliore per i laghi, “ammalati” di rifiuti e di impianti di depurazione che non funzionano a dovere, e per i fiumi – la cui situazione è aggravata dagli sversamenti abusivi di sostanze inquinanti.
Per ciò che attiene al nostro paese, secondo il report 2018 di Goletta Verde dei Laghi di Legambiente, dopo uno studio dei più importanti bacini italiani è emerso che il 75% dei rifiuti è costituito da plastica. I laghi di Como e Maggiore contano in media 157mila e 123mila particelle di microplastiche a chilometro quadrato.

› Terra

Uno studio tedesco parrebbe dimostrare che l’inquinamento terrestre da microplastiche sia da 4 a 23 volte superiore a quello marino. Dei 300 milioni e passa di tonnellate di plastica prodotte ogni anno, circa un terzo rimane nei suoli e nelle acque dolci.
Se è vero che i governi di alcuni paesi, seppur con un certo ritardo, hanno iniziato ad adottare misure a tutela dell’ambiente, bandendo taluni oggetti di plastica o limitandone il consumo, è anche vero che queste non possono essere attuate in modo efficace senza la collaborazione di aziende e cittadini.
Pensiamoci prima di buttare dove capita oggetti di plastica!

Ambiente Magazine

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